Raccontarsi dopo un trauma cranico, perché stimolare la narrazione di sé

Nella maggioranza dei casi il trauma cranico rappresenta un difficile e delicato percorso di accettazione e adattamento, una sfida difficile per l’individuo che, reso più vulnerabile, deve costruire o  ricostruire il proprio sé anche a livello corporeo, confrontarsi con disturbi somatici, ritrovare l’autostima e definire il proprio ruolo in ambito familiare e socio-lavorativo.

«Molte vittime di trauma non sono capaci di ricostruire una narrativa che possa intrecciare la loro fase di prima con le fasi successive - spiega Donatella Saviola neurologa del Centro Cardinal Ferrari Santo Stefano Riabilitazione -, non dividono credenze e valori con i loro sé precedenti; non hanno neanche un’ unità di base sulla coerenza dei loro stati percettivi che fornisca una continuità psicologica».

Narrare però rappresenta l’unico modo che l’essere umano possiede per far conoscere la propria storia, per comprendere se stessi e ridefinire la nostra identità. La narrazione genera infatti l’organizzazione mentale di una biografia personale che contribuisce a dare senso alle proprie esperienze e alla propria esistenza. Le nostre vite sono incessantemente intrecciate alle storie che raccontiamo, che ci vengono raccontate, che sogniamo o immaginiamo. Narrare rappresenta, quindi, un’operazione di consapevolezza in quanto equivale a costruire una propria visione di se stessi e del mondo che ci circonda. Stimolare il racconto di sé e della propria storia in questa prospettiva diventa un percorso importante nella cura di un post trauma cranico, da una relazione terapeutica può nascere una “costruzione narrativa” dove possono essere prese in considerazione più possibilità, anche riscrivendo il finale in modi diversi.  

                                                              

 


2018-01-11