Puntatori oculari, quando usarli

Si chiamano “puntatori oculari” (eye-tracking), sistemi che si stanno diffondendo sempre di più, grazie ad una tecnologia ormai consolidata, offerta da diversi produttori. I puntatori permettono a molti malati con disabilità di comunicare con gli occhi. La strumentazione usa una telecamera digitale che analizza i movimenti oculari quando la pupilla è raggiunta da un fascio luminoso infrarosso.

Uno specifico software è poi in grado di correlare la traiettoria dello sguardo con un oggetto proiettato su un computer. In questo modo un paziente può imparare a comunicare usando una tastiera e un mouse virtuale, componendo dei testi che si possono inviare per e-mail, stampare o tradurre in “parlato” con un sintetizzatore vocale. In situazioni più complesse, si può ricorrere a comunicazioni più immediate per mezzo di immagini (ad esempio se ho sete punto lo sguardo sulla figura della bottiglia, se ho fame sul pane) o avere un controllo ambientale (su campanelli, luci, elettrodomestici e altro).

Uno strumento di comunicazione così artificiale, costoso e non facile da utilizzare deve necessariamente essere riservato ai casi in cui non si possano usare strumenti più semplici, ovvero in presenza di grave paralisi nei movimenti volontari ai quattro arti e a livello bocca-lingua-soffio, oltreché in assenza di capacità di parlare per via naturale. Occorre preliminarmente verificare la sostanziale integrità cognitiva della persona, l’assenza di grave disturbo specifico di linguaggio (afasia), la presenza di adeguata motivazione e la disponibilità a sottoporsi ad un training per imparare ad usare l’eye-tracking.

Testo estratto dalla rubrica Il medico risponde a cura di Antonio De Tanti, direttore del Centro Cardinal Ferrari 

 

 


2018-02-28