Durante il periodo dell’emergenza da epidemia Covid-19 il Centro Cardinal Ferrari ha attivato un reparto dedicato ed isolato in sicurezza per accogliere pazienti in fase post acuta dimessi dagli ospedali pubblici. Tra le problematiche riabilitative riscontrate dagli specialisti del Centro nelle persone ricoverate sono emerse anche le conseguenze psicologiche. Di seguito l’esperienza raccontata dalla psicologa Nadia Maradini. 

Quali sono state le reazioni psicologiche dei pazienti ricoverati al CCF?

“Abbiamo accolto presso la nostra struttura 24 pazienti. Al momento dell’ingresso sono stati spesso osservati confusione e disorientamento spazio-temporale come conseguenza del periodo di sedazione e non contatto con l’ambiente. In qualche caso anche comparsa di allucinazioni presumibilmente causate di farmaci. Si è inoltre riscontrata precoce affaticabilità”.


Come è avvenuta la presa in carico?

“La presa in carico di questi pazienti ha avuto una duplice finalità: da un lato eseguire uno screening neuropsicologico per escludere la presenza di problematiche di ordine cognitivo, dall’altro valutare il tono dell’umore e lo stato emotivo attraverso scale e questionari specifici (HADS, WHOQOL, IES-R). Parallelamente si sono svolti con questi pazienti colloqui di supporto e contenimento emotivo rispetto l’esperienza vissuta”. 

Quali sentimenti sono stati riscontrati in sede di colloquio?

“In una fase successiva, recuperato l’orientamento, sono emersi aspetti di natura ansiosa, sentimenti di tipo depressivo, di vuoto, con ricorrente bisogno di narrazione di ciò che hanno vissuto con particolare riferimento alle ultime immagini prima di essere stati sedati ed intubati e alla prime immagini e ai primi pensieri emersi in coincidenza della riduzione della sedazione. Altri sentimenti che hanno avuto necessità di rielaborazione emotiva sono stati quelli di angoscia e paura provati durante la permanenza in Rianimazione o in Terapia intensiva, relativi alla vivida e precisa consapevolezza di essere in pericolo di vita, associati alle difficoltà respiratorie e alla “fame d’aria” oltre che ai continui decessi dei compagni di corsia”.

Avete dovuto raccontare cosa era successo?

“Sì, i pazienti hanno inoltre avuto bisogno di acquisire alcune informazioni circa la vita fuori dall’ospedale poiché di alcuni cambiamenti non ne erano a conoscenza (es. lockdown)”.

Quanto ha inciso l’assenza dei famigliari al loro fianco?

“Durante tutto il loro percorso ospedaliero e successivamente riabilitativo, questi pazienti hanno inoltre avuto a che fare con l’assenza dei propri famigliari a cui non è stato consentito l’accesso nelle strutture sanitarie. Noi operatori ci siamo trovati a dover “contenere” e supportare il loro disagio e il loro sconforto proprio per sopperire ciò che generalmente, in situazioni normali, viene svolto in modo informale dagli affetti famigliari. 

Per i pazienti in struttura noi psicologhe siamo state il “ponte” tra loro e la famiglia attraverso le videochiamate a casa: siamo entrate come mai nella sfera affettiva e più intima delle famiglie, ne abbiamo respirato la nostalgia e la sofferenza che la distanza ha prodotto. Abbiamo cercato di rassicurare laddove i famigliari non potevano vedere con i loro occhi e toccare con mano, cercando di gettare le basi per una fiducia reciproca che producesse un effetto positivo a tutela dei pazienti. In alcune circostanze abbiamo dovuto assistere i pazienti nel comunicargli il ricovero ospedaliero di un proprio caro per Covid-19 oppure il decesso di un genitore a causa del virus e rispettare i tempi di elaborazione del lutto di ciascuno di loro”.

Si è trattato di un recupero lento?

“Generalmente il recupero di questi pazienti in ambito riabilitativo è stato piuttosto rapido e si è concluso mediamente nell’arco di poco più di un mese. Nella fase finale del ricovero, in prossimità della dimissione, si è inoltre dedicato uno spazio alla revisione del rientro a domicilio e alla conseguente riorganizzazione”.

IL SERVIZIO DI SUPPORTO PSICOLOGICO DEL CENTRO CARDINAL FERRARI 

La cura e l’assistenza di una persona disabile non è un percorso che ha schemi predefiniti, perché ogni persona ha la sua storia, ogni individuo è diverso così come le famiglie che affiancano queste persone fragili. Per questa ragione è fondamentale il rapporto di fiducia. Da qui, l’importanza di un servizio di supporto psicologico. Il coinvolgimento di un caregiver  riguarda l’aspetto affettivo–emotivo, oltre a quello sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale. Per questo, lo psicologo clinico fa sempre parte dell’equipe di riabilitazione, supportando la famiglia fin dalle primissime fasi del ricovero e continuando a farlo durante tutto l’iter riabilitativo, per verificare le difficoltà emotive dei familiari e il loro grado di adattamento alla disabilità del congiunto, con attivazione di eventuali percorsi di supporto ove necessario. I caregiver vengono così attivamente coinvolti nei processi decisionali e nel percorso riabilitativo fin dalle prime fasi del ricovero, con momenti strutturati di ascolto/confronto, supporto psicologico, educazione e addestramento, in alcuni casi vengono proposte anche sedute di training autogeno.

a cura della Redazione Santo Stefano News
2021-01-11